Mi siedo. Mi dico adesso è il momento, ne sono sicura. Provo a formulare qualcosa, cancello riscrivo cancello riscrivo cancello, e alla fine andate a cagare tutti, non ce la faccio.
Ecco. Questo potrebbe essere il riassunto degli ultimi mesi.
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Mi ero chiaramente presa il mese di agosto come pausa. Chi ha voglia di scrivere il mese d’agosto, mi dicevo, e soprattutto chi ha voglia di leggerti, il mese d’agosto. Nessuno. Ho riposto la mia voglia di parlare nell’armadio, vicino alle giacche leggere e alle maglie con le maniche lunghe, sperando di poterla riprendere a settembre, una volta tornata alla normalità.
Il punto è che alla normalità stavolta ci sono tornata con molta calma. Sono andata in vacanza per la prima volta a settembre (tranquilli, lo faccio il post sulla Sardegna, lo faccio) e ci sono stata fino alla metà del mese. Quando ho varcato la soglia di casa, però, attorno a me si è scatenato il caos: la gente era persa, con gli occhi di fuori, agitata, pur rimanendo in silenzio.
Il fantasma dell’alluvione aleggia per le strade ancora adesso che è quasi passato un mese. Fortunatamente non ho avuto danni, la casa in campagna sta bene e non ha neanche un graffio, ma è come se il fango ci avesse colpito tutti, duramente, senza sporcarci.
Non ho voluto parlare di quando io e Architetto ci siamo organizzati con altri amici e abbiamo cercato di aiutare, nei limiti, chi aveva più bisogno. Abbiamo riscoperto un nostro lato inedito, dimostrandoci disponibili e volenterosi di spazzare via il fango dagli occhi di chi aveva già perso tutto. Lo abbiamo riscoperto in noi e in tutti quelli che si sono adoperati, ciascuno nel proprio modo, per collaborare.
Avevo quasi pronto un raccontino, una specie di reportage in cui prestavo la voce a chi aveva davvero qualcosa da dire, ma poi non sono riuscita a finirlo. Avevo raccontato del signor Renato, di sua moglie e di quel suo strano modo di canticchiare mentre gli svuotavamo la cantina piena di pezzi di ferro, o di quella signora che ci ha voluto dare perfino un albero di Natale perché lo portassimo a chi aveva perso tutto.. Ne avevo scritte di cose, sì, ma non era il momento di metterci un punto. Ognuno di noi ha una storia legata a quest’alluvione e magari fra un po’ verrà il momento di rimettere in ordine i pezzi e di trascrivere tutto in bella copia. Chissà.
Il fatto è che poi una cosa tira l’altra, ho cercato di riempire le mie giornate (invano) inventandomi cose da fare, e forse qualcosa si sta lentamente muovendo. Non che io debba giustificarmi o trovare un motivo per questa mia latitanza, ma mi piace pensare di essere ancora a scuola, quando usavo la giustifica per saltare un’interrogazione.
Nell’ultimo periodo ho cantato tanto, ho letto pure di più, ho perso del gran tempo a recuperare l’undicesima stagione di Grey’s Anatomy – ho perso del gran tempo perché, diciamolo, che cosa lo guardiamo a fare? Perché? PERCHÉ?! – e ho partecipato ad un concorso, una maratona fotografica, per cui devo ancora spedire le mie foto che tutto sommato non sono neanche così brutte come credevo.
Forse poi mi iscriverò ad un corso di arabo, inizierò a suonare la viola seriamente o cambierò città, vedremo. Di sicuro fra qualche giorno sarò di nuovo qui a rompere i coglioni.
(Ammesso che io abbia mai smesso).